IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Visti gli atti del proc. di cui sopra a carico di La Marca Franco, nato a Riesi (Caltanissetta) il 18 maggio 1962, residente in Orbassano (Torino), via Frejus n. 48/4, difeso dall'avv. Vittorio Pesavento d'ufficio, indagato, in ordine al reato previsto e punito dall'art. 73 del d.P.R. n. 309/1990 perche' illecitamente deteneva a fini di spaccio, gr. 1,1 di sostanza stupefacente, verosimilmente eroina, in Torino il 13 marzo 1993. Recidivo ex art. 99 del codice penale. Premesso che in data 13 marzo 1993 i carabinieri di Torino traevano in arresto La Marca Franco in quanto lo trovavano nell'atto di essere avvicinato da giovani tossicomani, in possesso di cinque confezioni contenenti eroina in quantita' superiore alla dose media giornaliera, pronte per la diffusione presso terzi. Rilevato che il p.m., ravvisando sussistenti nella specie ragioni cautelari tali da imporre l'applicazione della misura coercitiva della custodia cautelare in carcere, attesi i numerosi e gravi precedenti penali del prevenuto, ha chiesto in sede di convalida del suo arresto, l'applicazione dell'indicata misura; che questo giudice ha convalidato l'arresto e si e' riservato sulla richiesta in punto liberta' personale; che i sanitari dell'ospedale Amedeo di Savoia di Torino hanno comunicato nel frattempo a questo ufficio che il La Marca versa in condizioni di AIDS conclamata. Rilevato che questo giudice per provvedere sull'istanza del p.m. dovrebbe applicare l'art. 286- bis del codice di procedura penale, cosi' come introdotto dall'art. 1 del d.l. 13 marzo 1993, n. 60, che impone il divieto di custodia cautelare in carcere nei confronti di persone con AIDS conclamata; che tale norma a parere di chi scrive contrasta con i principi costituzionali portati dagli artt. 2, 101, 111 della Costituzione per le ragioni che di seguito si esplicitano. Sulla rilevanza della questione: la recente normativa in tema di soggetti affetti da infezione da HIV - in particolare da AIDS conclamata o da deficit immunitario grave, per i quali l'art. 286- bis del c.p.p., recitando nel titolo "divieto di custodia cautelare" -, stabilisce ex lege la incompatibilita' con lo stato di detenzione, con la conseguenza che detti soggetti, vanno o scarcerati o ammessi alla detenzione domiciliare, misura che a fronte dei precedenti penali del La Marca appare del tutto inadeguata a fronteggiare le esigenze di prevenzione sociale; dunque questo giudice si vede nel caso di specie obbligato a seguire criteri diversi da quelli introdotti dall'art. 275 del c.p.p. ed obbligato a non emettere la misura cautelare piu' rigorosa richiesta dal p.m. e cio' in ritenuta palese violazione dei principi costituzionali; di tal che ritiene di sospendere il processo in corso e di non deliberare sulla formulata istanza fino a che codesta Corte non si sara' pronunciata sulla questione sollevata, pronuncia che diventa pregiudiziale per una corretta decisione da parte dei questo giudice. Sulla fondatezza della questione: molteplici sono ad avviso di questo giudice, i profili di incostituzionalita' dell'art. 286- bis del c.p.p. Il principio costituzionale con cui macroscopicamente collide la norma in discorso e' quello di uguaglianza di cui all'art. 3, primo comma; non vi e', infatti, alcuna ragione, ne' logica ne' scientifica, per riservare ai soggetti affetti da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria un trattamento, in punto liberta' personale, diverso da quello previsto per i soggetti affetti da patologie altrettanto gravi, irreversibili ed ingravescenti; per i quali ultimi, com'e' noto, nessuna statuizione di carattere generale esclude la possibilita' della carcerazione, soltanto prevedendosi che questa non possa attuarsi in caso di "condizioni di salute particolarmente gravi che non consentono le cure necessarie in caso di detenzione" (art. 275, quarto comma, del c.p.p.); il che implica, come diretta conseguenza e come la pratica giudiziaria insegna, la necessita' di un accertamento medico legale che, esaminato il caso nella sua attualita', risponda al quesito circa la particolare gravita' delle condizioni di salute dell'indagato od imputato anche in relazione all'ambiente carcerario; responso sulla base del quale il giudice potra' decidere se operi o meno il divieto di cui all'art. 275, quarto comma, del c.p.p. L'avere, invece, stabilito un divieto assoluto di carcerazione per i malati di AIDS conclamata o di grave deficienza immunitaria e' evidente frutto di superficiale approccio al problema tecnico giuridico del loro status libertatis, dipendente da sostanziale ignoranza degli aspetti medico scientifici caratterizzanti le patologie in discorso. Appare, infatti, chiaro come gli ideatori della normativa qui in esame si siano limitati a recepire un ragionamento statistico, in se' corretto - anche perche' basato su rilevazioni effettuate su scala mondiale e dunque di notevole attendibilita' -, ma assolutamente inadeguato alla trattazione e soluzione di un problema cosi' delicato e specifico quale quello della restrizione della liberta' personale in caso di patologia da HIV in atto. Invero, che il numero dei linfociti CD4 (T4), rappresentando la "risposta" dell'organismo all'intenzione da HIV, costituisca indice dello stato di diffusione di tale infezione, e' dato reale, ma del tutto erroneo e' l'ancorare la valutazione della maggiore o minore gravita' della patologia unicamente a tale parametro valutativo, posto che essenziale, ai fini di detto giudizio, e' l'individuazione del tipo e della localizzazione delle infezioni opportunistiche. In altre parole, possono esservi casi di persone con numero di linfociti T4 ben superiore alla soglia statisticamente ritenuta quale elemento di discrimine tra la deficienza immunitaria e la deficienza immunitaria grave, che pero', non essendo affette da infezioni opportunistiche od essendo affette da lievi infezioni opportunistiche, non versano obiettivamente in condizioni di salute particolarmente gravi. Cosi' come possono esservi casi di persone con un numero di linfociti ben inferiore alla predetta soglia che, in quanto colpite da grave infezione opportunistica, versano in condizioni di salute obiettivamente gravi. Molto concretamente, in altra ordinanza di rimessione degli atti a codesta Corte per giudizio di legittimita' costituzionale analogo (dell'art. 146, n. 3, del c.p. come modificato dal d.l. 12 novembre 1992, n. 431, nella parte in cui prevede il rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena per i soggetti affetti da infezione da HIV nei casi previsti dall'art. 286-bis, primo comma, del c.p.p.; ordinanza 22 dicembre 1992 del tribunale di sorveglianza di Torino nel procedimento relativo a Bruschi Valentino), il presidente estensore cosi' esemplifica: "va da se' che una polmonite interstiziale da pneumocystis carinii o da cytomegalovirus, con una grave compromissione della funzione respiratoria, o una lesione neurologica da toxiplasma gondii, o una encefalite da cytomegalovirus o da virus erpetico, a parita' di numero di T4, sono ben piu' gravi di una esofagite da candida albicans, che offre, tra l'altro, buone prospettive di remissione". Sembra quasi di poter concludere che per La Marca e per gente censurata come lui si e' venuta a creare una sostanziale "licenza di delinquere", posto che la diagnosi di AIDS conclamata stabilita in un dato momento costituisce di per se' - ed a prescindere da qualsivoglia accertamento sulle successive condizioni di salute - un "patentino" per l'esclusione dal carcere, benche' in presenza di esigenze cautelari che imporrebbero la carcerazione. A fronte di situazioni di gravita' della salute che certamente discriminano il portatore dell'infermita' rispetto agli altri e giustificano un trattamento diverso, il legislatore avrebbe dovuto limitarsi a disporre modalita' di detenzione in carcere particolari, ma non abolire la condizione carceraria. Sotto un secondo aspetto l'art. 3 della Costituzione pare confliggere con l'art. 286- bis del c.p.p. la' dove viene smentito il principio di uguaglianza nella tutela che lo Stato riserva alle parti offese da gravi delitti e stabilito per contro il venire meno della tutela nei confronti di soggetti che abbiano visto aggrediti i propri interessi ad opera di persone affette da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria. Per fermarci al caso di specie, il diritto dei singoli cittadini ad essere protetti da comportamenti delittuosi quali quello del La Marca che, appena uscito dal carcere (proprio in forza dell'art. 286- bis del c.p.p. introdotto dal d.l. 12 gennaio 1993, n. 3) ha riposto in essere azioni lesive della collettivita', e' neutralizzato da una norma di legge che discrimina la tutela del singolo, impedendo la segregazione del colpevole che, - come le regole di esperienza insegnano - e' in molti casi e nel caso del La Marca, l'unica forma adeguata di tutela del singolo offeso e della collettivita'. Ma altresi' e piu' gravi profili di violazione costituzionale sono ravvisabili in relazione al principio sancito dall'art. 111, primo comma, della Costituzione, secondo cui "tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati". E', infatti, di tutta evidenza come nel caso che ci occupa l'eventuale incompatibilita' tra lo stato detentivo e lo stato di malattia del La Marca, che questo giudice dovrebbe recepire quanto gia' statuito nel decreto per la motivazione del provvedimento, motivazione che nel caso di specie sarebbe del tutto apparente, limitandosi l'organo giurisdizionale a recepire quanto, a priori, stabilito ex lege. Ne', in tale caso, puo' sostenersi cio' che codesta Corte dichiaro' nella sentenza n. 313/1990 a proposito del c.d. patteggiamento, in ordine al rilievo secondo cui la sentenza prevista dall'art. 444 del c.p.p. prescinderebbe completamente da qualsiasi valutazione di merito da parte del giudice e, quindi, dal suo libero convincimento, essendo arduo attribuire valore di motivazione all'enunciazione nel dispositivo che vi e' stata richiesta delle parti; in detta sentenza, invero, la Corte ha potuto agevolmente sottolineare come il giudice, nella pronuncia ex art. 444 del c.p.p., sia tenuto a valutare la correttezza o meno della definizione giuridica del fatto che scaturisca dalle risultanze, nonche' le ragioni per cui le circostanze, attenuanti od aggravanti, e l'eventuale prevalenza o equivalenza delle une rispetto alle altre, siano o non ritenute plausibili nei sensi prospettati nella consensuale richiesta delle parti; dal che consegue come l'esigenza della motivazione non sia esclusa dalla particolare configurazione della sentenza prevista dall'art. 444 del c.p.p., anche se ovviamente debba essere ad essa ragguagliata. Nulla di tutto cio' e' possibile dire, invece, con riferimento alla motivazione del provvedimento che revochi o non imponga la custodia cautelare in carcere per un ammalato di AIDS conclamata o di grave deficienza immunitaria, posto che non si vede quale libero convincimento possa esprimere il giudice che deve operare sulla base dell'equazione "AIDS conclamata o grave deficienza immunitaria = divieto di custodia in carcere". Il che induce a ritenere violato dalla normativa in esame anche un altro fondamentale principio costituzionale, quello di cui all'art. 101, secondo comama, della Costituzione, per cui "i giudici sono soggetti soltanto alla legge". Invero, nel momento in cui il giudice deve attenersi, per la propria decisione, non gia' ai dati derivantigli da un completo ed attuale accertamento sanitario sulle condizioni di salute dell'indagato-imputato colpito da infezione da HIV, cumunque liberamente valutabili, ma ad una diagnosi di AIDS conclamata o di grave deficienza immunitaria posta dai sanitari e divenuta immutabile (come sopra s'e' visto), appare chiaro come detto giudice sia sostanzialmente vincolato da un provvedimento amministrativo, qual e' la diagnosi medica, tra l'altro, - come detto - di per se' non significativo di un'effettiva ed attuale gravita' della situazione tale da renderla incompatibile con la carcerazione. Ne' vale obiettare che in questo caso il vincolo di soggezione soltanto alla legge sarebbe rispettato poiche' l'incompatibilita' con la carcerazione e' appunto stabilita ex lege in presenza di quelle diagnosi; cosi' ragionando, infatti, si attribuirebbe a tale vincolo un valore meramente formale che nulla ha a che fare con la regola sostanziale che la Costituzione voleva porre. Infine, va detto come l'indicato contrasto dell'art. 286- bis del c.p.p. con i principi costituzionali citati non appaia superabile nemmeno ricorredo al criterio del bilanciamento di interessi di pari portata, in ossequio al quale, tra piu' interessi aveti medesimi tutela e rango nell'ordinamento (in questo caso, rango costituzionale) si sceglie di farne prevalere uno, poiche' la situazione, complessivamente considerata, impone di stabilire comunque delle priorita' e quindi di privilegiare la tutela di un dato interesse a discapito di un altro pur parimenti rilevante. Non porta ad opinare diversamente in ordine alla incostituzionalita' della norma il ricorso ai principi di cui all'art. 27, terzo comma, e 32, primo comma, della Costituzione, secondo cui "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanita' e devono tendere alla rieducazione del condannato" e "la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettivita'", posto che la restrizione carceraria in appositi reparti non si risolve affatto in un trattamento contrario al senso di umanita' e non lede il fondamentale diritto alla salute; anzi, come e' ben noto a tutti gli operatori del settore, spesso il detenuto ammalato riceve piu' cure ed e' sottoposto a maggiori controlli per opera dell'amministrazione penitenziaria di quanto sicuramente accadrebbe in stato di liberta' per proprio interessamento. Non puo', dunque, ritenersi che la normativa in esame sia in contrasto con i principi costituzionali indicati al fine di dare attuazione ad altri principi costituzionali che si e' scelto di tutelare in via privilegiata. Deve, pertanto, affermarsi l'assoluta illegittimita' dell'art. 286- bis del c.p.p. con riferimento agli artt. 3, primo comma, 101, secondo comma, e 111, primo comma, della Costituzione, come sopra lumeggiato.